Un Padre di ascolto e lotta e " i suoi figli" ultras: solo loro possono ricostruire una identità rasa al suolo.

Le mani giunte a segnalare l' iconica potenza della preghiera, indosso il saio di mille battaglie. La stanchezza serena del guerriero. Un' afa soffocante e il cuore in gola: non sono nemmeno le 15 di un mercoledì vacanziero ma è gia' chiaro la via crucis del tifo rossoblù è tutt'altra che finita, in questo 2025 di infinite aridità. È finita, quella si', un'epoca.
" I tuoi figli": una frase vergata col sangue e che vale più di mille omelie e perdoni, uno strazio che fa bella mostra di se' su una fascia che tallona il corpo del Monaco, quasi a non volerlo lasciare andare. È l'addio, o per chi crede l'arrivederci, del nume tutelare, del custode della fede rossoblù, da sempre inclusiva e degli ultimi.
Un'identità salda nei decenni e ora improvvisamente rasa al suolo, fatta a pezzi dalla Storia ma anche da scelte altrui sulle quali tanto dibattuto, e che almeno per oggi, ma solo per oggi, restano sullo sfondo.
Resta invece marchiata a fuoco la vicenda di un frate che ha saputo immettere nei gangli del calcio nazionale il vangelo della non violenza, a partire da una periferia ferita, disobbediente e anarchica. Un missionario che non ha mai preteso di far cambiare testa e idee, ma ha saputo costruire un'"ideologia del tutti noi", che poco aveva a che fare con la politica, pur inglobandola in una dialettica rispettosa, e che pretendeva, umilmente, di vivere il pallone come l'ultima spiaggia contro il vuoto cosmico delle coscienze, in un contesto storico, quello dei primi anni Ottanta, che portava con se' i germi della paura e della solitudine.Non c'era bisogno di un capo per consacrare i valori della solidarietà e dell'ascolto senza pregiudizio.
Ha lottato il Monaco. Non e' morto tra i poveri e non ha visto il Cosenza in serie A, ma ha restituito vita ai poveri e agli emarginati e per Cosenza, è stato la Serie A. Ha unito e diviso, ha combattuto la fame con la fama, ha stravolto ogni cliché, finendo per legare attorno a se' anime profondamente dissonanti.
Poi il lungo travaglio giudiziario, che ha a di fatto reciso il legame con le gerarchie, ma che per paradosso ha permesso al popolo rossoblù di averlo, ancor di più, tutto per se'. Monaco di Chiesa, di preghiera, ma anche di lotta e resistenza. C'era lui nel naufragio sportivo del 2003, l'estate del caldo record e del gelo rossoblù, c'era la sua garra anche nel presidio romano del 2004, quando per i lupi sembrò spalancarsi il ritorno, poi svanito, nel professionismo. E c'era il suo amore smisurato verso i due colori quando decise che sarebbe stato il primo presidente col saio della storia del calcio.
Non poteva che esserci lui nella magia di Pescara e nel buio della tragedia del 1990 del dopo Trieste e delle vicende, amarissime, consumatesi negli anni successivi al Via del Mare di Lecce.
C'era lui sull'altare, a sposare calciatori e giornalisti, a lenire le ferite degli ultimi in posti che assomigliavano a una costola dell'Inferno.
C'era lui a dispensare speranza in mezzo alle lacrime per gli addii a Bergamini, Catena, Marulla, e tanti altri, di cui nessuno saprà mai.
C'era ancora lui, in leggerezza, a "pregare" il procuratore di Tutino affinché lo scugnizzo tornasse alla casa madre, e perché no, a fare il pasionario quando la piazza chiedeva un cambio di rotta societario.
Lui c'era e non c'è più. E quei i fiori rosso e blu' ai piedi della bara semplice che ne accompagnera' il viaggio eterno sembrano quasi uno sgarbo all'essenzialita' francescana.
Un eccesso barocco, ma meritorio, per un uomo di curva e di popolo, prima ancora che di Chiesa, pronto a perdonare anche chi gli aveva sottratto l'unica cosa materiale della quale realmente gli importasse.
Fedele a sé stesso, ma Padre di tutti.
E allora caro Padre di ascolto e preghiera,ma anche di lotta e resistenza, ora che non ci sei più, toccherà ai "tuoi figli" orfani di identità ricostruire appartenenza in questa nuova epoca dell'incertezza. Lottando, resistendo, ritrovandosi. Al resto pensaci tu.