Cari "figli di Telesio," il Cosenza è un servizio da offrire, la stampa un dovere, Gigi Marulla un brand senza tempo.

Al via il ritiro "blindato" dei rossoblù, ma l'attenzione è ancora rivolta alle incresciose vicende degli ultimi giorni, in attesa del Marulla day di sabato.Perche' il talento è di uno, l'appartenenza di pochi, il "pallone" di tutti.
17.07.2025 08:08 di  Giuseppe Leo   vedi letture
Cari "figli di Telesio," il Cosenza è un servizio da offrire, la stampa un dovere, Gigi Marulla un brand senza tempo.

I raccapriccianti sviluppi dei giorni scorsi (presentiamo Lupo anzi no, Marulla- day no anzi si) e le plastiche difficoltà del ritiro di Lorica ,mai annunciato eppure in essere, segnalano che Cosenza è ufficialmente tornata in un universo fatto di polvere e disorganizzazione di cui onestamente non si sentiva la mancanza. E non è la terza serie a squalificare le dinamiche pallonare, quanto l'operato di chi tratta il "suo" giocattolo come un fatto privato, un'azienda familiare della quale non si sente necessità, ne' il dovere di dare conto alcuno. 

E cosi', guardandola da quest'ottica distorta, risulta persino normale che una società possa squalificare un'intera classe giornalistica (anche lei non scevra da colpe) in un pomeriggio di follia e presunzione, proibendo che la minima informazione fuoriesca dalla bolla.Salvo poi sventolare il "Figli di Telesio" come mantra dall'appartenenza.

Il Cosenza non è tanto e solo un soggetto di diritto privato, il Cosenza è anche e soprattutto un servizio che si offre alla gente per consolidare appartenenze, regalare orizzonti di vita meno miseri e creare legami sociali che, in ogni epoca, hanno distolto i giovani dai tormenti di tentazioni ben più pericolose.

E allora, se il Cosenza è un servizio, la comunicazione è un dovere etico e materiale, e se all'interno del tessuto societario non esistono al momento figure in grado di recepire le esigenze comunicative e filtrarle, si provveda quanto prima, per evitare che ogni mancanza, ogni inesattezza, ogni sgarbo, venga visto come una provocazione. 

Non è solo garbo istituzionale, è dovere.

A quali domande non si può o vuole rispondere?

Per quanto tempo ancora si pensa di vivere nella bolla, a parte qualche sortita che ha solo l'effetto di sviare i temi caldi, innervosire la stampa o peggio annacquare la protesta?

A chi giova questo masochismo?

Chi segue il calcio sa che il calcio, come la politica e la vita stessa, è fatto di cicli che sembrano intramontabili, ma che per loro stessa natura possono terminare anche contro la volontâ di chi pare governarli. È finita l'epopea Pagliuso, sono finiti i tempi della polvere e della disorganizzazione post 2003, e' terminata la cavalcata firmata Mirabelli, arriverà il tempo del giudizio anche per chi pensa che la passione (altrui) si possa telecomandare da dentro una bolla. Sventrando un brand, e scappando.