Cosenza retrocesso: il fallimento annunciato di una società senza visione

E alla fine è successo davvero: il Cosenza Calcio è retrocesso in Serie C. Lo ha fatto con due giornate d’anticipo, nel silenzio di uno stadio sempre più disilluso e con la città che, semplicemente, non ha reagito. Perché quando ti abitui al vuoto, smetti persino di arrabbiarti.
Altro che tragedia sportiva: questa è stata una retrocessione amministrativa, un crollo a bassa intensità che ha consumato le sue energie in anni di approssimazione, salvezze miracolose e zero progettualità.
Nessun alibi, nessun colpevole occasionale
Non è colpa di Massimiliano Alvini, che in fondo ci ha messo la faccia senza mai avere veri strumenti. Non lo è di Belmonte, Tortelli, o Delvecchio, sacrificati sull’altare dell’ennesima ristrutturazione a casaccio. I nomi li conosciamo tutti, ma i veri responsabili non sono in panchina o in campo.
Tutta la città sa da dove arriva questa retrocessione. Il Cosenza è caduto perché chi lo guida da via degli Stadi, da anni, lo fa senza visione. Eugenio Guarascio, proprietario, e Rita Rachele Scalise, amministratrice unica, rappresentano l’immobilismo, l’inerzia, la mancanza totale di strategia che ha trasformato un miracolo sportivo in una caduta inevitabile.
Riprogrammazione? Non scherziamo
Nel 2021, dopo l’ultima retrocessione (poi ribaltata a tavolino), arrivò almeno un comunicato stampa. Parlavano di "riprogrammazione". Lo stesso comunicato oggi rimbalza sui social come una barzelletta, un meme che fa ridere amaramente. Perché da allora nulla è stato programmato. Si è vissuto alla giornata, cercando ogni anno di aggiustare un vaso già rotto.
Se ti salvi ai playout due anni su tre, e l’anno buono lo smonti subito dopo, non stai costruendo nulla. Stai semplicemente sfidando la sorte, e sperando che non si accorga di te.
Il conto, prima o poi, arriva
Nel 2022 e nel 2023 il destino ha sorriso. Quest’anno ha cambiato bersaglio. E ha fatto bene. Perché questo club, oggi, non aveva più nulla da dare alla Serie B. Non gioco, non entusiasmo, non un progetto tecnico all’altezza. Solo inerzia.
Chi ci ha rimesso? I tifosi, come sempre. Ma anche Alvini, che ora si ritrova con un altro anno di contratto e una macchia che non gli appartiene. E una rosa di giocatori che, tra mille limiti, ha avuto l’unico torto di essere precipitata in un sistema che non li ha mai protetti.
Una lunga agonia spacciata per salvezza
La verità? È un miracolo che il Cosenza sia rimasto così a lungo in Serie B. Una sopravvivenza mascherata da competizione. Una serie di fortunate coincidenze spacciate per programmazione. Ma l’illusione, come sempre, ha le gambe corte.
Oggi è il giorno della retrocessione, ma la caduta è cominciata anni fa. Quando si è scelto di accontentarsi. Quando si è pensato che bastasse poco per restare a galla. Quando si è deciso di continuare con chi, stagione dopo stagione, ha dimostrato di non essere all’altezza.