Cosenza, la città chiede l'addio di Guarascio

Il Cosenza retrocede e la città, ferita ma lucida, non chiede più spiegazioni né promesse. Chiede una scossa, un segnale che interrompa l’immobilismo e trasformi la fine di un ciclo in un nuovo inizio. Una scossa che oggi, più che mai, assume un valore che va oltre il rettangolo di gioco.
Da anni la tifoseria contesta apertamente la gestione del presidente Eugenio Guarascio, ritenuta il simbolo di una stagnazione sportiva e strutturale. Ma oggi la contestazione ha fatto un passo ulteriore: non si tratta più solo di calcio, ma di cittadinanza attiva, di voce collettiva, di futuro.
Il grido che sale dal Marulla e dalla città
Non sono solo i cori del Marulla a chiedere una svolta. Anche il sindaco di Cosenza, Franz Caruso, ha dato eco a una richiesta ormai trasversale: la cessione del club. Perché senza una proprietà capace di costruire, investire e rappresentare la città, ogni stagione è destinata a spegnersi nel grigiore.
E la retrocessione in Serie C ne è la prova più evidente: il Cosenza scende senza una guida, senza un volto che parli alla città, senza nemmeno il conforto di una parola, di un “ci siamo” da parte della proprietà.
Il calcio a Cosenza è molto più di un gioco
A Cosenza il calcio è tessuto sociale, è memoria collettiva, è appartenenza. Non è solo uno sport: è identità urbana, è racconto popolare. Per questo la retrocessione fa male, ma fa ancora più male l’assenza di un progetto, di una visione, di una guida.
Oggi la città non accetta più il silenzio, e pretende un atto di responsabilità che sia gestionale prima ancora che tecnico. Perché il Cosenza merita rispetto, prospettiva e una società all’altezza della sua storia.